Giovanni portava i baffi. Alle bambine piaceva, l'avevano sempre visto così. Alla mattina, poco prima di uscire, si affacciava alla porta della loro camera e le salutava con tenerezza, quasi staccandosene a fatica. Le bambine , soprattutto la piccola, rispondevano ogni volta allo stesso modo: "saluta tanto i signori della bottega": per stabilire un legame concreto tra sé e il padre, come un filo d'Arianna; e allo stesso tempo per immaginarsi il papà tutto preso dal lavoro con i clienti. Anche per loro il distacco portava con sé un po' di malinconia, ma solo per un momento: poi si lasciavano prendere dalla vita di tutti i giorni. Anche la sera aveva i suoi riti, sempre uguali, ma diversi; la mamma le portava a letto, ma il saluto conclusivo spettava a papà, compresa la formuletta abituale: ma anziché “i signori della bottega” la bimba piccola usava uno sbrigativo “saluta tanto tutti“, riferito a qualche amico venuto per un caffè o una partita a carte. Il momento del commiato, quando era il caso, veniva utilizzato per comporre litigi e asciugare pianti appartenenti alla cena appena conclusa. Non era necessario spiegarsi: bastava dimostrare di avere voglia di "fare pace".Pur essendo un brav’uomo, Giovanni a volte andava in collera per cose di poca importanza, e quando ciò succedeva, spesso alzava la voce. Le bambine si spaventavano in queste situazioni, non già perché temessero qualche scappellotto (non era mai successo), ma perché non sembrava più lui, non lo riconoscevano più. Possibile che fosse la stessa persona allegra, divertente e anche scherzosa che le faceva imboressare con le sue spiritosaggini ? Come poteva cancellare l’allegria di certi momenti e trasformarla in dramma solo perché alla piccola era involontariamente scappata una parolaccia? Tutto finito e addio bella serata? Sì, questo succedeva spesso. D’altra parte, non era lui stesso che metteva in guardia le figlie dalla troppa allegria? “Attente, el ridare va in piànzare!”
E così, come dei funamboli sempre in equilibrio instabile, la famiglia proseguiva la sua “vita col padre” in alterna serenità. Ma questa descrizione non gli rende giustizia. Giovanni era un uomo sensibile, generoso, pronto a fare un piacere anche gravoso a chiunque, capace di commuoversi per il dolore degli altri (e la leggera balbuzie da cui era affetto ne simboleggiava la fragilità); amante della musica e in particolare del violino che aveva studiato per molti anni, appassionato della montagna che gli dava un piacere quasi mistico, soprattutto nei rari momenti in cui, dopo avere accompagnato aver accompagnato le bimbe in una facile escursione in montagna, si isolava per “sentire” la bellezza dei luoghi.
Sembrava che fin dall’infanzia (era il minore di cinque fratelli) si fosse sentito “diverso” dal resto della sua famiglia, composta di persone aride, a volte addirittura spietate. Come se fosse combattuto: prendo a modello i miei fratelli, così severi con i figli? O mia mamma che, pur amandomi non mi ha mai mostrato il suo amore? O mi lascio andare a sorridere giocando con le mie figlie? Forse il suo carattere era il risultato di questo conflitto, e nel comporlo perse qualcosa per strada. Il comportamento divenne più rigido e non riuscì più a ritrovare del tutto la gentilezza e l’affetto di un tempo.
Quando si ammalò, a cinquant’anni, la malattia ammorbidì alquanto il suo carattere. Aveva bisogno degli altri, della presenza della famiglia. Non sentiva più la forza di combattere per avere la supremazia in famiglia, anzi la lasciava volentieri agli altri. Scoprì, purtroppo tardi, che si può essere ottimi padri anche se ci si mostra come si è veramente, anche se deboli e fragili.
E i baffi? Una sera di molti anni prima, ritornò a casa senza. La bimba piccola si impaurì e si mise a piangere: non lo aveva riconosciuto. Un abbraccio mise fine allo spavento.
E così, come dei funamboli sempre in equilibrio instabile, la famiglia proseguiva la sua “vita col padre” in alterna serenità. Ma questa descrizione non gli rende giustizia. Giovanni era un uomo sensibile, generoso, pronto a fare un piacere anche gravoso a chiunque, capace di commuoversi per il dolore degli altri (e la leggera balbuzie da cui era affetto ne simboleggiava la fragilità); amante della musica e in particolare del violino che aveva studiato per molti anni, appassionato della montagna che gli dava un piacere quasi mistico, soprattutto nei rari momenti in cui, dopo avere accompagnato aver accompagnato le bimbe in una facile escursione in montagna, si isolava per “sentire” la bellezza dei luoghi.
Sembrava che fin dall’infanzia (era il minore di cinque fratelli) si fosse sentito “diverso” dal resto della sua famiglia, composta di persone aride, a volte addirittura spietate. Come se fosse combattuto: prendo a modello i miei fratelli, così severi con i figli? O mia mamma che, pur amandomi non mi ha mai mostrato il suo amore? O mi lascio andare a sorridere giocando con le mie figlie? Forse il suo carattere era il risultato di questo conflitto, e nel comporlo perse qualcosa per strada. Il comportamento divenne più rigido e non riuscì più a ritrovare del tutto la gentilezza e l’affetto di un tempo.
Quando si ammalò, a cinquant’anni, la malattia ammorbidì alquanto il suo carattere. Aveva bisogno degli altri, della presenza della famiglia. Non sentiva più la forza di combattere per avere la supremazia in famiglia, anzi la lasciava volentieri agli altri. Scoprì, purtroppo tardi, che si può essere ottimi padri anche se ci si mostra come si è veramente, anche se deboli e fragili.
E i baffi? Una sera di molti anni prima, ritornò a casa senza. La bimba piccola si impaurì e si mise a piangere: non lo aveva riconosciuto. Un abbraccio mise fine allo spavento.